Come Roma Imperiale può venirci in aiuto per migliorare la ciclabilità
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Come Roma Imperiale può venirci in aiuto per migliorare la ciclabilità

Quando si parla di impossibilità di muoversi in bici a Roma, sento sempre tante baggianate, ovvero argomentazioni che fanno da deterrente a questa scelta.

Ovviamente tutti questi luoghi comuni che rendono il ciclismo urbano uno spauracchio, e chi lo pratica un alieno, sono risolvibili. Ma uno in particolare mi fa salire il sangue al cervello: “non ci sono le piste ciclabili”.

“non ci sono le piste ciclabili”

Questa affermazione deriva da almeno due aspetti. Il primo è che non sempre servono piste ciclabili come siamo abituati a vederle nelle foto di Amsterdam o di Barcellona. Il secondo è che gli esempi a portata di occhio e di pedale, le piste romane, sono state realizzate senza seguire un criterio di utilità.

A tratti viene il dubbio che i km sbandierati negli anni in tante occasioni istituzionali servano soltanto a fare numero, mettendo due strisce qua e là dove non dà fastidio a nessun parcheggio in doppia fila. Fare chilometraggio, senza preoccuparsi dell’utenza.

Il Piano Quadro della Ciclabilità di Roma presenta scollature e frammentarietà notevoli. Basta confrontare le piste ciclabili esistenti e progettate con le heatmap dei partecipanti all’European Cycling Challenge.

Le mappe di ECC mostrano i dati effettivi dell’utenza di chi in bici ci va davvero tutti i giorni.

Le ciclabili sono battute in maniera più che marginale rispetto alle effettive esigenze dell’utenza. La cosa paradossale è che, mentre alcune di esse rimangono inutilizzate, moltissimi punti pericolosi e molto frequentati restano privi di un’opportuna messa in sicurezza.

non sempre servono piste ciclabili come siamo abituati a vederle nelle foto di Amsterdam o di Barcellona

Insomma, quelle poche ciclabili esistenti spesso non servono. Per questo motivo, un gruppo di lavoro interno a SiC sta preparando un’alternativa al Piano Quadro, una mappatura di proposte ciclabili realizzata da chi la bici la utilizza davvero.

Nel corso dei mesi invernali, pieni di riunioni e di lavori, abbiamo concordato un metodo di analisi delle mappe: il tessuto viario di una metropoli come Roma non può che configurarsi come un insieme di innumerevoli microcittà.

Una specie di galassia fatta di paesi, paesoni e borgate. Queste “bolle”, spesso non comunicanti tra loro o divise da mostri architettonici di cemento, vanno unite con dei corridoi sicuri a misura di pedale.

Ma come se fa? Come l’antichi.

Il modello da seguire può essere proprio quello della Roma imperiale. Dal centro partivano le consolari, come tanti raggi verso l’esterno collegati tra loro da un anello come lo è il GRA per le automobili.

A questa struttura radiale va poi aggiunta una serie di circonvallazioni che mettano in comunicazione una periferia con l’altra. Un colpo d’occhio generale alla mappa e, da un’ipotetica ruota di bicicletta, passiamo ad una ragnatela.

All’interno di questa prima struttura a ragnatela abbiamo pensato ad arterie minori che ramifichino il tessuto urbano a livello capillare. Fino ad arrivare a corsie ancora più piccole, percorsi condivisi e consigliati per la bassa frequentazione automobilistica o semplici zone 30 che mettano in sicurezza l’interno delle “microcittà”.

Come in un albero, partiamo dal tronco, le consolari che collegano la periferia al centro.

Questo metodo presenta un’organicità ed una coerenza di fondo basate sulla necessità effettiva.  Inoltre si occupa di rilevare un aspetto fondamentale quando si tratta di fare delle richieste ad un’amministrazione: individua delle priorità d’azione.

Come in un albero, partiamo dal tronco, le consolari che collegano la periferia al centro. Poi cresciamo ed irradiamo municipi e microcittà collegandoli tra loro. Continuiamo a crescere, germogliando nelle isole pedonali e nelle zone 30.


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