PIAZZA VENEZIA: NODO DELLA STORIA. SECONDA PARTE.

PIAZZA VENEZIA: NODO DELLA STORIA. SECONDA PARTE.

Continuando a muoverci in senso orario sulla Piazza notiamo che per raggiungere la via appena menzionata bisogna in realtà attraversare un’altra Piazza che funziona in parte da rotonda per il traffico e in parte da parcheggio:

Piazza S.Marco

Questa prende il nome dalla Chiesa che fa parte del complesso di Palazzo Venezia, primo palazzo rinascimentale con evidenti segni medievali (merlature e torri). Qui il leggendario papa Paolo II, al secolo Pietro Barbo, personaggio raffinato di natali veneziani, si diceva errasse di notte nella torre per compiere alchemiche magie. Sua fu l’idea di far approdare a Piazza Venezia, allora molto diversa, la corsa dei Berberi, ossia dei cavalli scossi (senza fantino), che con congegni legati sul dorso contenenti carboni ardenti o aculei sporgenti venivano liberati in Piazza del Popolo e ricatturati proprio dove oggi sorge il Vittoriano, nel vicolo della Ripresa, grazie a diversi stratagemmi. Qui, come gli antichi imperatori, il Papa dalla sua loggia elargiva denaro. Tutto ciò era parte dei festeggiamenti del Carnevale. Qui vi era anche il suo giardino segreto circondato da una loggia che verrà poi chiusa per trasformarlo in una specie di ampliamento di Palazzo Venezia con tanto di passaggio coperto che conduceva in Campidoglio alla torre di Paolo III, il papa della famiglia Farnese, responsabile degli ampliamenti e oggi spesso ricordato per una carriera ecclesiastica iniziata sotto l’insegna della bellezza della giovanissima sorella Giulia. Il passetto fu distrutto nell’allargamento della piazza e il palazzetto ex-giardino smontato e ricostruito fantasiosamente sul retro del palazzo.

Una piazza ampia e di rappresentanza era una necessità di fronte al Vittoriano con Roma nuova capitale d’Italia. Nell’ottocento fu aperto il balcone sulla facciata principale di Palazzo Venezia che è rimasto tristemente famoso per i discorsi del Mussolini dittatore un secolo dopo. Oggi nel palazzo vi è una biblioteca specializzata e uno dei più incredibili e trascurati musei presenti nel cuore della capitale. In esso è possibile ammirare, tra gli altri, modelli originali in terracotta utilizzati da Gianlorenzo Bernini, lo stendardo rubato ai turchi nella battaglia di Lepanto, la Cleopatra di Carlo Maratta, il S.Pietro di Guercino e il misterioso ritratto doppio di Giorgione.

Via del Plebiscito

Arriviamo così a via del Plebiscito, ricordo del voto di annessione di Roma all’Italia con una schiacciante vittoria del sì. Questa via, parte del percorso (dal Vaticano al Laterano) di presa di possesso del papa del trono di vescovo di Roma, si trova sulla direttiva di Corso Vittorio Emanuele, nome che ricorda il momento della sua apertura all’indomani dell’unità d’Italia. La larga via avrebbe dovuto collegare il cuore della città con la nuova zona da urbanizzare: I Prati di Roma, in seguito quartiere Prati.

Su via del Plebiscito si affaccia il Palazzo Doria Pamphili che, oltre alle sue collezioni d’arte, narra delle storiacce sulla Pimpaccia, della leggenda nera sul papa Innocenzo X, ritratto da Velasquez così bene nel suo terribile sguardo che lo stesso papa fece portare via il suo ritratto e di una famiglia nobile moderna che ancora vive e anima il palazzo storico. In via del Corso, nome proveniente proprio dalle succitate corse dei Berberi, c’è il palazzo Bonaparte dove visse gli ultimi anni della sua vita la madre dell’imperatore Letizia Ramolino; si narra passasse molto tempo sul balcone coperto ad angolo ad osservare il passaggio della gente, passatempo a cui ella era talmente affezionata che una volta diventata cieca a causa dell’età la sua inserviente ebbe il compito di descriverle le passeggiate e i costumi dei romani.

Palazzo Torlonia

Nella restante parte di piazza Venezia vi era il Palazzo Torlonia. Si trovava tra la via Quattro Novembre, così denominata per commemorare l’armistizio che pose fine alla prima guerra mondiale, e la via dei Fori Imperiali aperta da Mussolini livellando la sella che collegava l’altura del tempio di Venere e Roma al colle Esquilino. In tal modo le parate militari, passando attraverso l’arco di Costantino davanti all’Anfiteatro Flavio, terminavano davanti al suo balcone di Palazzo Venezia. Il Palazzo Torlonia non era antico, era sorto su uno più antico, il Palazzo Bolognetti, nel 1826 in forme grandiose; si narra fosse il più bel palazzo di Roma. Era simbolo della grande aristocrazia romana: famoso per le feste a cui tutti i re e i grandi intellettuali europei si recavano, era pieno zeppo di opere d’arte. Francesco Podesti affrescò gli dei dell’Olimpo nelle volte delle sale che portavano nomi come la Galleria di Teseo, la Sala di Psiche, la Sala di Diana, e la Galleria dell’Ercole dall’impressionante gruppo oggi conservato alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Antonio Canova, Ercole e Lica.

Le cicatrici della città

Quante ferite ancora oggi visibili, al pari di cicatrici della città, ci mostra questa vasta piazza. Se solo sapessimo superare l’imbarazzo provocato dalla storia potremmo riappropriarcene come patrimonio per capire, evitare gli errori e dare spazio alla giusta vocazione che ogni piazza italiana deve avere, quella di centro rappresentativo della socialità e di vetrina della vitalità. Chissà forse allora tornerebbero pure i grandi nomi europei a stupirsi davanti al Giorgione, Velasquez o Bernini e il fantasma di Letizia Ramolino nascosta nel suo balcone spierebbe questa umanità che socializza, magari anche con i viaggiatori, e riempe la piazza, specchio della vitalità culturale italiana.


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