RITORNO DA UN PONTE PASSATO IN BICICLETTA - Salvaiciclisti Roma
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RITORNO DA UN PONTE PASSATO IN BICICLETTA

Tre giorni stordito di bellezza e fatica, il respiro costante del mondo d’intorno che finalmente riesci a sentire, quel masticare distratto, quel fischiettare intorno alle cose, si appoggia al basso lievissimo della catena che gira; ché in città nessuno dei due li senti mai.

bici campi

Una provinciale deserta e sgarrupata che corre lungo campi di un verde strano, drogato dall’aria tersa, fino alla stazioncina che lenta si popola di una umanità sincopata. Studenti lavoranti camminatori di via francigena ciclisti con le più varie bici, le più varie borse, si salutano con un sorriso breve, come carbonari che condividono valori che non si vogliono appoggiare alle parole.

La carrozza delle bici del regionale è stracolma, si esonda nello stretto spazio di fronte, un controllore che una volta tanto non ti vede come una minaccia per il mondo di pericolosità pari a Kim Jong-Un non ti ingiunge di scomparire perché intralci; anzi quasi si scusa.

bici in treno

Il discorso dei ciclisti nel treno di ritorno segue una liturgia immutabile, come quella bizantina; si parte dalle bici si commenta ci si informa come perché quella forcella ma quel copertone ma in finale con quelle ruote ci fai pure lo sterrato?

Rimbalza come una pallina da flipper seduti alla bell’e meglio per terra accanto alle bici lo stesso sorriso, allaga il viso oltre le curve della bocca sgocciola lungo il mento dopo tre giorni di qualcosa che lo sapete che cos’è. Un sorriso quieto e piano, figlio della stanchezza, del sole, soprattutto del dono più grande che la bicicletta ti fa, ridarti il ritmo della Terra invece di cercare come un imbecille di dare il tuo a Lei.

Poi si passa ai giri che hai fatto, da dove sei partito, che hai visto, silenziosamente si decreta un eroe del ponte, senza dirlo, il più fico di noi, nello specifico due di Crema che sono scesi a Montevarchi e hanno cazzeggiato fino a Orvieto co due mountain bike che sembrano trattori, adesso tornano a Roma e prendono l’ultima freccia per tornare su; monta un sacrale rispetto, non è che glielo dici, non è una gara, c’è semplicemente qualcuno che ha toccato il tuo Golem Ciclistico, il cosmorama titanico, suvvoltato ed erto di salite scorpacciate e posti ascosi che ogni ciclista custodisce dentro.

E quindi di preciso da Cetona poi che strada hai fatt… maledizione siamo già arrivati, maledizione, ma perché è già passata un ora e un quarto? Era un momento fa quando sei salito, e ci saresti stato tanto felice ancora un po’ a parlare raccontarsi le imprese le ferite le cazzate che hai fatto quella volta senza acqua non ci crederai ma il Chianti li mortacci loro na fontanella manco a pagarla. E invece solo cinque minuti di ritardo, mannaggia. Ci si saluta con lo sguardo ci si sbriciola per la città, con le spalle più distese per avere attraversato un mondo più fatto per noi; poi si ristringono mano a mano nei venti minuti di bici verso casa a ogni macchina che di raso passa, lento lento che hai strafatto ‘sti tre giorni. Poi la lavatrice, sgranando il rosario del sudore dalla borsa, e poi ti addormi, cercando di incrociare con l’ultimo refolo di veglia lo sguardo del libro sul comodino: perdona amico oggi gli occhi non hanno fame più di niente.

ponte fuori porta


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