Da Monteverde a Gregorio VII in bicicletta, il mio percorso bike-to-work

Da Monteverde a Gregorio VII in bicicletta

Esistono due tipologie basilari di ciclista urbano: i pedoni con le ruote e i motociclisti senza motore. I primi si destreggiano per marciapiedi, attraversamenti pedonali e parchi alla ricerca di un modo più veloce di spostarsi dei piedi, ma ugualmente sicuro.

I secondi applicano regole di funzionalità e velocità ai loro spostamenti, coniugandola con la praticità e la comodità del pedale: seguono le stesse traiettorie del traffico, lottano contro semafori differenziali e sportelli aperti, si immettono su strade a scorrimento veloce reclamando il loro spazio nella giungla urbana.

Il mio percorso bike-to-work ormai lo conosco a memoria, buca per buca, rotaia sporgente per rotaia sporgente

bici in villa
Credits Claudio Mancini

I primi sono ostracizzati dai pedoni, che li vedono come oppressori e minacce, i secondi dagli automobilisti, che li vedono come ostacoli al loro prepotente e assodato fluire. I primi hanno deterrenti e ostacoli sul loro cammino (scalini, rallentamenti, deviazioni, ciclabili che finiscono nel nulla, sempre se presenti), i secondi rischiano la pelle ogni giorno.

Se dovessi autoclassificarmi, finirei senza dubbio nella seconda categoria: la velocità e la praticità dello spostarsi in bici in una città congestionata come Roma non hanno pari tra gli altri mezzi di trasporto, pubblici o privati che siano, e poco importa se le strade che faccio sono trafficate (le colonne di auto ferme in coda formano spesso un’ottima bike-lane a lato strada, regalando sicurezza proprio per effetto della loro inefficienza). Tuttavia, è sacrosanto e più che legittimo che ognuno tragga il beneficio dalla tipologia di spostamento ciclistico che preferisce. Vediamo in che modo, con un esempio empirico.

Il mio percorso (uno dei miei percorsi, visto che per il lavoro che faccio gli spostamenti sono molteplici) bike-to-work ormai lo conosco a memoria, buca per buca, rotaia sporgente per rotaia sporgente. Prevede tre alternative, come da mappa:

La linea gialla

rappresenta il percorso automobilistico più veloce e più diretto, quello che il navigatore o Google maps ti schiaffano sullo schermo in automatico. 4.25 km, Circonvallazione Gianicolense, Olimpica e via Gregorio VII: tutte strade oppresse dal traffico, più un viadotto senza corsia laterale dove le automobili raggiungono e superano spesso i cento all’ora – la sporadica presenza dell’autovelox non è casuale. Va bene che sono di bocca buona, ma se devo farlo tutti i giorni dopo un po’ passa la voglia.

La linea rossa

è invece il bike-to-work che ognuno vorrebbe, Cappuccetto Rosso compreso: minore dislivello possibile, metà percorso all’interno dei parchi più belli di Roma, Villa Pamphili, solo qualche centinaio di metri di circonvallazione in discesa, strade secondarie dentro Monteverde e poi discesone di San Damaso. Poco più di 5 km, tanto verde che rigenera occhi e polmoni, rischio di essere affettato basso. Sì, ma ci metto un sacco di tempo in più, per la natura e il relax c’è tempo il sabato – fuori Roma, magari.

La linea verde

indica infine la mia scelta preferita, che coniuga velocità e (relativa) sicurezza stradale evitando sia il viadotto sopra l’Aurelia (e relativa salita) che la svolta su Piazzale Pio XI e la doppia fila costante di Gregorio VII, scendendo per San Damaso. La corsia di parcheggi quasi sempre vuota di via Leone XIII costituisce un ottimo spazio di sicurezza, ed è anche più breve del percorso automobilistico, poco più di 4 km.

Claudio Mancini
Credits Alessandro Vallesi

Morale della favola? Esistono tanti stili di spostamento ciclistico urbano quante sensibilità umane, e solo tre cose possono portare alla soluzione ideale: la curiosità, la pazienza e l’esperienza. Le stesse qualità la cui mancanza ci appiattisce dietro a uno sterzo.