La rapida nascita (e morte?) delle reti ciclabili di emergenza
Nelle scorse settimane, a seguito dell’appello congiunto di innumerevoli Associazioni e della petizione che ne è seguita, molte sono state le città italiane ed estere che hanno annunciato la realizzazione di una rete ciclabile di emergenza per la fase 2 del lockdown dovuto alla pandemia del Covid-19.
Tra queste, Milano ha senza dubbio fatto scuola tra le italiane, illustrando un piano dettagliato e basato su un percorso partecipativo interamente scaricabile dal sito del Comune, basato essenzialmente sulla creazione di nuove zone 30 e sul restringimento della carreggiata destinando al traffico motorizzato il minimo indispensabile per ricavare spazio da dedicare all’utenza ciclistica e/o pedonale. Sulla stessa linea anche Firenze, che ha pubblicato una lista di interventi ciclabili transitori con tanto di tempistiche e priorità delle strade interessate ai lavori, e riattivato la ZTL senza alcuna esitazione.
E Roma?
Nell’Urbe, a parte delle scarne dichiarazioni della sindaca Virginia Raggi in alcune interviste e un breve e generico comunicato sul sito di Roma Servizi per la Mobilità, nessun piano è stato ancora reso noto, a 5 giorni dalla parziale ripartenza delle attività.
Come se non bastasse, a soffocare queste misure già generiche e tardive in una morsa di acciaio e smog, al tempo stesso sono state annunciate misure che privilegiano l’utenza motorizzata privata e il suo sdoganamento selvaggio, come la possibilità di sospendere la chiusura delle ZTL e il pagamento delle strisce blu, in totale contraddizione al pacchetto di misure transitorie verso una mobilità dolce e sostenibile e in direzione opposta rispetto a Firenze che conferma chiaramente la chiusura del centro alle auto.
Appare ormai chiaro che entro il 4 maggio neanche un km di nuovi percorsi ciclabili potrà mai essere realizzato, e appare altrettanto chiaro che la situazione della mobilità capitolina in assenza della stessa capacità di utenza del TPL sarà semplicemente ingestibile.
Un piano, presto, un piano!
Eppure come Associazione Salvaiciclisti Roma avevamo presentato una proposta di biciplan ben 4 anni fa: un piano dettagliato chiamato W:E.B. o la “ciclabile infinita”, i cui contenuti sono stati approvati e inseriti nel PUMS presentato lo scorso anno, che prevedeva un totale di 293 km di infrastrutture ciclabili. Sempre nel corso dell’ultimo anno, abbiamo poi proposto a più riprese una sintesi estrema di quel piano, aggiustando il tiro al ribasso in nell’ottica di un’altra emergenza, quella stradale. Un numero dieci volte minore di km di infrastruttura, solo 25, una sintesi essenziale di rete ciclabile, il minimo indispensabile dal quale cominciare.
Gli stessi interventi prioritari sono stati inseriti anche nel pacchetto di misure proposte in stato d’emergenza Covid-19 per la città di Roma.
Il Piano B
Ora che il tempo e lo spazio dell’emergenza sono stati impiegati a fare “stradenuove” che di nuovo hanno solo l’asfalto, senza fare nulla per la sicurezza e diminuire i picchi di velocità, noi utenti vulnerabili della strada rischiamo di tornare in balia di un traffico motorizzato e violento. Non tutti vanno in bici, ma pedoni lo siamo e saremo tutti, su marciapiedi risicati accanto a traffico veloce, tra il pericolo di contagio e quello di essere investiti mentre aspettiamo il nostro turno in fila.
Osservando da vicino questi interventi ci sembra di capire che sotto traccia, si stia muovendo una strategia che rinuncia all’opportunità di usufruire della mobilità attiva per smaltire altissimi volumi di traffico in poco spazio; quello che serpeggia è il cosiddetto Piano B, dove B non sta certo per Bicicletta!.
È evidente che, tra far bene e fare male, si è deciso di non fare.
Lo dimostra per esempio la misura di scaglionare gli ingressi al lavoro, contingentare gli ingressi nei servizi pubblici, tentare di raddoppiare le corse del TPL seppure a numero chiuso, dare inutili contentini come ZTL aperte e strisce blu gratis ad automobilisti bloccati nel traffico, privilegiare il lavoro agile, e rivestire di modernità la stessa vecchia ricetta vecchia di 60 anni con qualche incentivo allo sharing modale, il tutto con costi altissimi e risultati che scontenteranno tutti rispetto a soluzioni semplici e veloci.
Non un cambio netto di modello, ma una visione di città con lo stesso traffico e gli stessi incidenti con metà della gente in giro rispetto a prima, il tutto spalmato su tutte le ore.
Insomma, il piano B.
Ma nonostante tutto ciò, e per fortuna, c’e’ l’OMS che dice chiaramente che per uscire dalla quarantena COVID recuperando la salute occorre muoverci, andando a piedi o in bici.
Non riusciranno a fermare questo. Le bici sono già nelle nostre case: un po’ d’olio e una sistemata, e sono pronte a farci riprendere la nostra città. I negozi di bici stanno ricevendo un’impennata di richieste di riparazioni e acquisti: il governo non potrà bloccarne la piena riapertura che per pochi giorni ancora. La semplicità e la comodità di spostarsi senza file alle fermate o in macchina porterà inevitabilmente nuove persone a spostarsi in bici; più saremo, più velocemente chi va a motore si abituerà alla nostra presenza sulle strade, con o senza ciclabili e zone 30, e scoprirà che il traffico scorre più fluido.
Ci vediamo in strada, anche se forse ci sono un paio di raggi da sistemare.