L'omicidio stradale e il “Nuovo” Codice dalla Strada - Salvaiciclisti Roma
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L’omicidio stradale e il “Nuovo” Codice dalla Strada

Il nuovo reato di c.d. omicidio stradale è stato introdotto con la legge 41 del 23 marzo 2016 ed è contenuto nell’art. 589 bis del codice penale.

Tale norma è stata voluta a gran voce per superare l’impasse in cui la giurisprudenza si è venuta a trovare a causa della difficoltosa riconduzione della fattispecie della morte – quale conseguenza della violazione di una regola cautelare sulla circolazione stradale – nella categoria dell’omicidio volontario.

La volontà

Infatti, per la nostra tradizione dottrinale sull’elaborazione dei criteri sintomatici e rivelatori del dolo (ancorché eventuale) della colpa (cosciente), era impossibile per i giudici affermare che contravvenire al codice della strada, quand’anche da ciò fosse derivato il decesso di un’altra persona, potesse testimoniare una volontà omicidiaria in capo al reo.

La conseguenza pratica di ciò si riverberava sul piano sanzionatorio. Se per l’omicidio volontario la pena base è di 21 anni (art. 575 c.p.), per quello colposo commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale il massimo della pena era pari a 7 anni (vecchio art. 589, co. 2 c.p.). E fino a 10 se a tale aggravante si aggiungevano anche quelle della guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti (vecchio art. 589, co. 3 c.p.).

Ora il nuovo articolo ha elevato (ma non troppo) le pene irrogabili a carico di coloro i quali cagionino la morte di una persona per l’effetto della violazione di una norma del Codice della Strada, prevedendo una gradazione in tre fasi dell’illecito.

Tre fasi

Tralasciando le riproposte ipotesi aggravate di guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di stupefacenti, la novità è senz’altro costituita dalla espressa menzione della violazione di talune regole cautelari relative alla circolazione stradale quali aggravanti dell’omicidio stradale “base”, per cui la pena arriva a 10 anni.

Tali sono:

1) al conducente di un veicolo a motore che, procedendo in un centro urbano ad una velocità pari o superiore al doppio di quella consentita e comunque non inferiore a 70 km/h, ovvero su strade extraurbane ad una velocità superiore di almeno 50 km/h rispetto a quella massima consentita, cagioni per colpa la morte di una persona;
2) al conducente di un veicolo a motore che, attraversando un’intersezione con il semaforo disposto al rosso ovvero circolando contromano, cagioni per colpa la morte di una persona;
3) al conducente di un veicolo a motore che, a seguito di manovra di inversione del senso di marcia in prossimità o in corrispondenza di intersezioni, curve o dossi o a seguito di sorpasso di un altro mezzo in corrispondenza di un attraversamento pedonale o di linea continua, cagioni per colpa la morte di una persona.

Una riflessione

La tanto vituperata disposizione che arriva a irrogare 18 anni di reclusione, nel massimo, al reo, riguarda solo il caso di omicidio stradale e lesioni plurime (non so a voi, ma a me non pare eccessiva come pena).

Eppure è proprio da tale sensazione che dovremmo prendere le mosse per effettuare un ragionamento su questo reato e, in generale, su tutte le conseguenze sanzionatorie che il legislatore vuole predisporre per chi si renda responsabile di atti così antisociali come quelli in commento.

E’ proprio la percezione della repressione della violazione del Codice della Strada come eccessiva, da parte  dell’uomo medio, che deve farci riflettere sul valore che oggi diamo alla vita umana.

Ed è da questo dato che dobbiamo ancora partire per ragionare sulle dinamiche che impediscono alla riforma del Codice della Strada di uscire dal Senato.

tachimetro

La riforma del Codice

Per chi non lo sapesse, la riforma del Codice della Strada è iniziata con ddl n. 1638 a firma del Senatore Lupi e altri, nel lontano 2014.

Il disegno di legge, che consta di una delega al Governo per attuare i principi in esso contenuti, conta 3 articoli e diversi commi, per un totale di una ventina di pagine stampabili.

Se non fosse che in tre anni sono stati proposti ben 455 emendamenti a questi tre articoli.

Tra questi, possiamo segnalare come effettivamente tesi all’attuazione delle linee programmatiche del ddl quello che legittimerebbe il “controsenso ciclabile”. Questo è in effetti l’affermazione di un principio rivoluzionario, per così dire, nel nostro paese, ed è probabilmente giusto che se ne parli in commissione, ma per il resto pare assurdo soffermarsi su inezie e particolari che saranno solo successivamente oggetto dei decreti attuativi.

Emendamenti illogici

Per non parlare di quegli emendamenti del tutto privi di logica e strumentali alla cieca volontà personale dei loro promotori, come quello che non solo vorrebbe sancire l’obbligo del casco per tutti i ciclisti, ma vorrebbe anche che tale obbligo divenisse effettivo dalla data di entrata in vigore della legge delega, e non del rispettivo decreto attuativo.

Tutte queste lungaggini e discussioni inutili peraltro deprivano di significato lo strumento della legge di delega, che per sua natura ha il solo scopo di dettare norme programmatiche.

Le norme effettive, sulle quale dovrebbe invece soffermarsi il legislatore delegante, saranno infatti poi oggetto di nuovo vaglio delle Commissioni parlamentari che dovranno esprimere su di esse il proprio parere.

I principi della riforma

Inoltre,  distolgono l’attenzione da quelli che erano i principi fondanti la riforma: la riorganizzazione delle norme esistenti tenendo conto dei vari interventi ad opera di fonti sovranazionali (internazionali ed europee) e statali (regionali e comunali); semplificazione del Codice della Strada orientandolo alla disciplina dei comportamenti degli utenti della strada, delle sanzioni, e alla regolazione dello spazio stradale; lo sviluppo della mobilità sostenibile e il miglioramento della sicurezza stradale con riferimento all’utenza vulnerabile e coloro che meritano particolare tutela dai pericoli della circolazione stradale; riduzione dei limiti di velocità cittadini; recezione dei concetti di spazio condiviso e principio di prudenza che assegnino la precedenza, in qualsiasi condizione, agli utenti vulnerabili.

bimbo gioca

La legge di delega, una volta approvata, darà al Governo 12 mesi di tempo per emanare i decreti attuativi. Dopo tale termine scadrà. E la delega andrà riassegnata. Peraltro, più o meno tra 13 mesi il Governo cesserà le sue funzioni e saremo di nuovo chiamati alle urne per eleggere il Parlamento.

Ora penso che abbiate capito perché, alla fine, il Nuovo Codice della Strada non vedrà mai la luce.


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