VADEMECUM SEMISERIO DEL CICLOVIAGGIATORE: PARTE 5.1 - DOVE
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VADEMECUM SEMISERIO DEL CICLOVIAGGIATORE: PARTE 5.1 – DOVE

Raccolta di pensieri, informazioni e considerazioni di chi viaggia in bici da 15 anni senza alcuna cognizione di causa. Ma tant’è, il cialtrone non ha una struttura fisica o tecnica per viaggiare in bici, eppure non lo sa e ci va lo stesso (cit.)

Preamboli (auto)ironici a parte, sentivo il bisogno di mettere per iscritto una serie di consigli e in generale il mio modus operandi nel preparare e affrontare un viaggio in bicicletta, dato che – ce ne sono! – più di una persona si è ritrovata a chiedermi informazioni. Per questo, “semiserio”: perché viaggiare in bici non è una cosa seria, e perché quando se scherza bisogna esse seri (aricit.), proprio per far capire che chiunque può farlo, e non servono né ironman né tecnici provetti.

Dopo il Perché, il Come, il Con Cosa e una Lista di cose da portare, questa quinta puntata è dedicata a un’altra domanda fondamentale che da sempre attanaglia l’uomo, senza risparmiare ovviamente la donna:

Dove?

Scegliere la meta e il percorso di un cicloviaggio è una delle mie parti preferite: l’adrenalina che ti corre in corpo davanti a una mappa o a delle curve di livello, decidere il chilometraggio giornaliero e collegare i punti di interesse, dare un senso simbolico a quella linea (o a quel cerchio, perché no) ideale che si andrà a tracciare col proprio sudore è una sensazione di intensità quasi pari al viaggio in sé. Non è forse l’attesa del viaggio il viaggio stesso?

Ma anche qui si possono seguire vari criteri, a seconda della nostra concezione di viaggio.

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La pianificazione del viaggio

Per me un viaggio in bici deve necessariamente avere una valenza simbolica. Una traversata o un attraversamento, un periplo, un tematismo forte… sicuramente dev’essere lineare, sono rari gli eterni ritorni al punto di partenza, magari obbligati nei casi in cui si tratti di isole. Però la maggior parte delle volte ho disegnato una linea cercando solo in seguito di darle un senso logistico, in parole povere ho sempre cercato di adattare la realtà all’idea.

La partenza e la meta devono avere una forte energia, e vanno raggiunte staccando le ruote da terra solo in casi di assoluta necessità: le già nominate Etica del Pellegrino e Ascesi (prima parte), immancabili compagne di viaggio, esigono che non si bari, o lo si faccia soltanto quando serve davvero. Così come in salita non si scende, piuttosto ci si ferma a riprendere fiato e si riparte da quello stesso punto, è una questione deontologica – se non quasi d’onore cavalleresco.

Anche il simbolismo della meta va maturato, riempito nelle settimane se non nei mesi: un germe di un’idea, bella quella terra, vorrei proprio girare per quelle strade lì, poi studi sparsi sul web, vediamo un po’ cosa incontro per questa costa qui, e se taglio per le montagne? E così via dicendo. I consigli di chi c’è già stato, una foto, una semplice suggestione data da un verso, una poesia, un libro, anche due parole buttate a caso dal primo stronzo che passa: ciascuno di questi fattori, se seminato in una mente resa fertile dal giusto concime, può germogliare fino a diventare un’urgenza da appagare a tutti i costi. E quando mi fisso, non mi do pace e rimugino varianti, sfoglio mappe, elucubro programmi.

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Mi piace fare programmi che poi non riesco a seguire

Mi piace anche tirare la corda, e su carta le distanze appaiono sempre meno temibili che dal vivo – quando magari ci scontriamo con la cruda realtà, fatta di pioggia, tir, deviazioni e forature che rallentano i nostri ipotetici 25 km all’ora di media per coprire quei 100 km in metà giornata. E mi piace ideare un viaggio da poter raccontare, per poi vedere cosa mi riserva il Caso rispetto alle aspettative che mi ero fatto prima della partenza.    

Ma tutte queste sono perversioni strettamente personali, e si può (fortunatamente!) fare cicloturismo in mille altri modi diversi, alcuni più sani, altri più rilassanti.

C’è anche chi preferisce proprio non farne, di programmi, e pedalare in una direzione per fermarsi solo quando il sole scende a violentare altre notti. E magari scegliere lì per lì di fermarsi in un posto un giorno in più, una settimana in più, soltanto perché quel vecchietto gli ha offerto da bere o perché in quella taverna la cameriera è carina. O proprio scegliere di non tornare.

Di solito si agisce così quando si hanno lunghi periodi di tempo a disposizione, e non si hanno a cuore tutte quelle baggianate sulla coerenza ciclistica di cui sopra, che – ripeto – sono problemi che mi faccio solo io. È un modus vivendi che mi affascina, ma al momento non me lo sono mai potuto permettere, e dico “potuto” per scelte fatte a monte e non per mancanza di possibilità (il Tempo uno se lo crea, se vuole).

C’è poi chi preferisce dei binari sicuri, un viaggio con la libertà della bicicletta limitato però dalla codificazione di un percorso scelto da altri. È questo il caso di chi sceglie una ciclovia o un tracciato già battuto o consigliato dalle comunità ciclistiche. Questa concezione di itinerario non mi trova affatto contrario, anzi: ha il pregio di scegliere dei percorsi studiati apposta per pedalare, solitamente sicuri e affascinanti, in molti casi anche attrezzati appositamente per i bisogni del cicloturista. Porta però con sé l’inevitabile taglio alla parte di progettazione della rotta, e dona in cambio la sicurezza di un qualcosa che già funziona, perché qualcun altro ha già testato per te. Per fare un esempio concreto, qualche anno fa ho provato la blasonatissima ciclovia Londra/Parigi, l’Avenue Verte: un percorso bellissimo, rilassante, fatto apposta per il cicloturista, però preferisco ancora le statali abruzzesi.

Questo discorso vale naturalmente solo per i viaggi su strade carrabili: per i sentieri e la MTB vale la pena avere delle tracce GPS da seguire, se non altro per motivi di sicurezza.

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La pianificazione delle tappe

Il cicloturista non è uno sportivo, non necessariamente perlomeno: se si vuole trascorrere un viaggio che sia anche vacanza, con dei tempi di relax e di turismo tradizionale, insomma non avere il fiato sul collo, sarà bene considerare alcuni variabili nel pianificare le tappe.

Superate le turbe sturmundranghiane relative al simbolismo, quando butto giù un programma di viaggio, mi pongo dapprima queste domande:

  • deve essere un viaggio in bici o una pedalata attraverso dei posti? (traduzione: l’accento sarà spostato sul turismo o sul ciclismo?)
  • con chi parto? Che livello di allenamento / fretta / resistenza hanno?
  • mi interessa di più quello che posso scoprire lungo il viaggio o la compagnia?
  • quanti giorni a disposizione ho?
  • che budget ho a disposizione?
  • che tempo farà nel posto in cui vado? Farà freddo, caldo, ci sarà vento, sole, pioggia, neve? E posti in cui fare il bagno?
  • Ci sono posti in cui voglio assolutamente passare?
  • Quali mezzi di trasporto ho per raggiungere la partenza? E il ritorno? E lungo il percorso, a cosa mi posso appoggiare in caso di problemi?
  • Ho intenzione di prendermi dei giorni di pausa in cui non si pedala?
  • Quanto voglio lasciare al caso, e quanto alla programmazione?

Solitamente, almeno per i miei gusti personali sto sul 70% ciclismo e 30% turismo. Amo stare molto in sella, e ogni tanto fermarmi in qualche posto (mai più di due notti nello stesso posto). Dopo l’idea, il concetto di viaggio, la prima cosa che faccio è capire quanti km sono in tutto, e da lì divido per il numero di giorni che ho a disposizione. Di rado mi è capitato di avere più di 20 giorni liberi di fila, quindi la lunghezza dei miei viaggi è sempre stata influenzata dai limiti temporali.

A seconda del risultato della divisione, tiro le prime somme e verifico la fattibilità del progetto.

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So ormai bene – a mie spese e di alcuni che mi hanno sciaguratamente seguito – che se ci si vuole godere il viaggio, prendersi il proprio tempo per visitare questo o quello, fermarsi qualche giorno o anche solo avere parte della giornata libera dalla pedalata, sarà bene non fare più di 60 km al giorno. E so altrettanto bene che la velocità media di un viaggiatore, pause comprese, è di 10 km orari. Via ogni pregiudizio sportivo, quando ci si allena ci sono delle cifre, quando si pedala per scoprire una terra tendenzialmente non ce ne sono proprio, ci cifre: sono irrilevanti, se non per pianificare.

Ciononostante, i 60 km giornalieri a 10 all’ora sono soltanto una prescrizione responsabile per occupare 6 ore della giornata a pedalare e il resto a vagare: mi è capitato di fare tappe da 130 km, ma devo dire che in questi casi ci si lascia troppo alle spalle senza il tempo di metabolizzarlo. Diciamo che un range attendibile e verosimile senza sofferenze inutili può andare dai 30 ai 100 km al giorno, a seconda del livello di allenamento (e di penitenza).

Verificato se la divisione rientra in questi valori, passo a programmare le tappe in un elenco, appuntandomi le città o le località di possibile sosta – e ovviamente tutto ciò che c’è di utile nel raggio di una decina di km prima e dopo la possibile sosta. A quel punto, ho in mano una prima bozza di programma giornaliero con le relative distanze, di solito variabili nel mio caso tra i 70 e i 110 km, e a seconda dei luoghi e delle aspettative valuto la possibilità di inserire giorni di riposo.

Deciso anche questo aspetto, è pronto un calendario. Mi segno i punti critici (altimetrie, ma anche passaggi obbligati poco piacevoli su strade a grande percorrenza, che solitamente cerco di evitare), quelli in cui mi interessa fermarmi o prevedere giorni di pausa, e quelli in cui intendo pernottare. E preparo quello che viene definito dai tour operator un “roadbook”, tappa per tappa, con chilometraggio, dislivello, meta della giornata e pernotto.

Se tutto questo metodo può sembrare claustrofobico e troppo vincolato ai tempi, dipende unicamente dalla quantità di giorni liberi per viaggiare: se potessi, me ne starei mesi e mesi fuori e andrei alla Ventura, ma avendo tempi circoscritti dell’anno in cui partire, mi è purtroppo necessario pianificare. Tanto quel margine di imprevisto e di libertà c’è in ogni caso.


Continua…


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